Che fretta c'era?
Non ce l'ho con la primavera, ma con chi sbuffa. Non di certo con le foreste giamaicane, con le risate dei bambini. E poi di crisi abitativa (sì, ancora) e di stagioni che cambiano e noi con loro
Inizio a scrivere questo Spazio Amato con anticipo perché la prossima settimana sarà frenetica e io non sono più abituata alla frenesia. Vivo con calma, sempre un poco impaziente quando devo prendere delle decisioni, ma la mia vita è sicuramente più lenta di quella di tante altre persone. «Come sei calma, Carolina», mi hanno detto in tanti negli ultimi mesi. Piccole scelte quotidiane che mi hanno resa più leggera.

Scrivo dal treno che mi sta riportando a Milano dopo tre settimane a Roma. Sono arrivata il 1° marzo (a Roma) e mi fermerò ancora un altro mese.
L’altra mattina dopo una bella passeggiata in quello che è già diventato il mio parco del cuore, un pensiero pesante si è posato sul cuore: «E poi cosa farò?». Quando si tratta di prendere decisioni sono impaziente. Allora mi hanno ricordato che non ho fretta, «Non metterti fretta, se non c’è». Perché la fretta fa fare bene le cose quando non c’è alternativa, quando bisogna essere veloci e immediati nel prendere decisioni, tipo quando è questione “di vita o di morte”… Ma quando invece non c’è motivo di essere precipitosi la fretta fa fare un sacco di stupidaggini.
E mi infastidisce sempre di più. La fretta di chi corre in macchina, quella di chi sbuffa in coda dietro di me mentre sto rimettendo il portafogli in borsa alla cassa del supermercato, chi appena l’aereo atterra scatta in piedi e apre la cappelliera anche se è seduto nel posto centrale e mi mette in testa la sua valigia.
E intanto sbuffa, sbuffa, sbuffa…
Ma dove devi andare così di fretta? E, anche se arrivassi dove devi arrivare tre minuti prima, pure 10 magari se sei velocissimo a correre, cosa avresti guadagnato, oltre allo stress che ti tiene per mano da quando ti svegli a quando ti addormenti? Mia nonna che era saggia e andava piano in auto, quando le suonavano, diceva: «Se avevi fretta, partivi un quarto d'ora prima». Tiè!
Quando si è di fretta, il tempo non basta mai. Quando provi a cambiare il ritmo, riesci a fare tutto. Non è magia, è che dedichi il tempo giusto alle cose giuste.
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Ralph Waldo Emerson scriveva in Natura (1836) che un raggio di sole illumina l’occhio di un adulto e splende nell’occhio e nel cuore di un bambino.
I bambini sanno dare importanza alle cose giuste, a quelle che li rendono felici e agli istinti che li fanno sopravvivere. E se non è questa magia? Vivere secondo il tuo sentire e per il tuo meglio.
L'ho imparato leggendo Il senso della natura, del professore di filosofia Paolo Pecere che indaga il legame tra uomo e natura viaggiando. Nel racconto della sua esplorazione alla Galapagos, Pecere a un certo punto dice che partire vuol dire sempre allontanarsi da qualcuno. Ho fatto un’orecchia a quella pagina del libro, è una bruttissima abitudine che ho da sempre, i libri sono oggetti quasi sacri per me eppure i miei sono pieni di orecchie, una per ogni pagina che contiene una frase che mi ha fatto venire i brividi, che mi ha commossa, che mi ha fatto fare un salto…: ogni tanto mi capita di aprire un libro letto anni prima e cercare di indovinare quale frase di quella pagina mi avesse fatto compiere quell’atto così indelicato. È capitato che non riuscissi a trovarlo: poche volte, ma è successo.
E oggi, 25 marzo 2025, questa frase: «Partire vuol dire sempre allontanarsi da qualcuno» mi ha provocato una fitta al cuore. Quante volte sono partita? E se mi fossi sempre allontanata da qualcuno? Dico di no, ma il mio corpo ha sussultato leggendo quelle parole in quell’ordine. Le lascio lì e ci penso.
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A proposito di senso della natura, la mia mente viaggia libera verso la Giamaica, uno dei primi posti in cui ricordi di aver posato la mia faccia sulla foglia di un albero. Sono sempre stata bene nei luoghi naturali, ma è solo negli ultimi anni che la connessione con la natura si è intensificata ed è solo da qualche anno che ho imparato ad ascoltare l’ambiente.
La Giamaica non era un Paese in cui sognavo di andare e invece mi sono ricreduta appena arrivata e ci tornerei volentieri. Sono andata per lavoro a dicembre 2019, con un gruppo di persone meraviglioso: quanto abbiamo riso! Sembravamo 5 amici in vacanza, eppure ci eravamo conosciuti solo il giorno della partenza in aeroporto.
La Giamaica è verde, così verde che attraversare le sue foreste pluviali su strada o sorvolarle da una seggiovia mi aveva fatto sentire in Jurassic Park, che infatti è stato girato anche qui. Mi ricordo perfettamente dove e quando ho posato la mia faccia su una foglia gigante. Eravamo al Goblin Hill, un hotel meraviglioso: tante piccole ville, costruite e arredate negli anni Settanta, circondate da un immenso e rigoglioso giardino. Ero uscita in esplorazione la mattina prima della colazione - come mio solito - e avevo vagato per il giardino.

Un sentiero conduceva fino in cima alla collina che corrispondeva anche alla fine della costa sopra San San Beach: da lì si vedeva la piccola isola di fronte, Monkey Island. Eravamo nella zona di Portland, famosa anche per la musica e per la sua Blue Lagoon. Da lì ero scesa in strada e camminando tra piante giganti e ancora bagnate dalla pioggia dell’alba respiravo verde e davanti a questa immensità non avevo potuto fare a meno di fare quel gesto così tenero.
Il pomeriggio siamo andati sulla spiaggia di French’s Cove. Era dicembre. Scesa dal pulmino avevo visto subito un cartello che segnalava che quella era una zona di schiusa delle tartarughe. Ero emozionatissima, peccato che dicembre era molto lontano dal periodo in cui ciò poteva avvenire. Dalla felicità ero passata immediatamente a uno stato di delusione e rassegnazione. Una giornalista che era in viaggio con me mi ha guardata negli occhi e mi ha detto: «Sei con due persone buddiste, tutto può accadere» - non era detto nel senso, «siccome siamo buddiste, può avvenire il miracolo», ma «Abbi fiducia». E così, passati 10 minuti, ci siamo accorti di un gran movimento in spiaggia: stavano nascendo centinaia di tartarughe.
Non potevo crederci! Mi sono commossa accompagnando queste cucciole verso il mare: le abbiamo aiutate a trovare la via verso l’acqua, abbiamo tifato per loro e le abbiamo augurato buona fortuna. Ho fatto anche una cosa che ora non farei mai più, ne ho presa una in mano: non si fa, ora lo so, ma allora ero ancora convinta che l’impatto degli umani sul Pianeta fosse minore di quello che è. Non ero nemmeno cosciente che gli esseri più longevi della terra sono le piante.
Se proprio volessimo parlare di resilienza dovremmo iniziare da loro. Cari amici alberi.
Nel libro che sto leggendo, l’autore cita anche Humboldt il quale, quand’era in vita, si augurava che l’uomo riprendesse in considerazione l’influsso del mondo naturale su quello morale e che riuscisse a riconoscere il misterioso intreccio tra ciò che è sensibile con ciò che è immateriale. E nella mia esperienza non c’è posto migliore perché ciò avvenga se non nella natura. È un talento da allenare, come tutti gli altri, più ci stai nella natura, più impari a sentire l’immateriale. L’ultima settimana a Varese - prima di andare a Roma - piangevo ogni giorno andando nel bosco, mi faceva male l’idea di lasciarlo per due mesi. L’ho salutato ed è nei miei pensieri ogni giorno, proprio come una persona.
Oggi, mentre sono in volo di ritorno dalla Norvegia (uno Spazio Amato scritto a puntate in diverse parti d’Europa), mi piace pensare che tutto sia iniziato poggiando la mia testa su quella foglia gigante in Giamaica.
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Le news più interessanti che ho letto
Chi sono le masche? Lo racconta Elisa Sbordoni su Lucy sulla cultura. Esseri metamorfici e dotati di poteri magici, le masche sono figure della tradizione popolare piemontese e dell’arco alpino occidentale, poco conosciute e ormai quasi dimenticate. Raffigurate come donne anziane, isolate e schernite dalla comunità di cui fanno parte, si divertono a seminare zizzania nel paese. La masca è una figura strettamente legata alla civiltà contadina che con l’urbanizzazione delle campagne si è dispersa. Eppure, il portato simbolico di questi esseri soprannaturali racconta molto delle antiche comunità rurali.
Le stagioni sono scritte nel nostro umore. Quando cambiano, cambiamo anche noi. Cosa succede quando anche queste diventano “inaffidabili”? In primavera, le piante sbocciano prima, ingannate da raffiche di calore, per poi morire al ritorno del gelo, e le migrazioni degli animali si trovano sempre più spesso in contrasto con la fioritura delle colture alimentari. “La sensazione che certe cose accadano in determinati periodi dell'anno è profondamente radicata nella maggior parte degli esseri umani, nelle nostre economie e anche nella nostra psiche”, scrive @billmckibbenvt su Atmos. “Quando non si può fare affidamento su questi schemi, il risultato è una sorta di tristezza e di inquietudine”. Per Atmos Volume 08: Rhythm, Mckibben ha esplorato la storia dell'alternarsi delle stagioni e l'impatto sull'ambiente, sulle comunità, sulle emozioni e sul futuro. Un articolo un po’ vecchio, ma davvero interessante.
Il 4 aprile uscirà il nuovo libro di Sarah Gainsforth, L’Italia senza casa, che parla delle crisi abitativa del nostro Paese. Trovare una casa, un affitto normale a un prezzo accessibile, in molte città italiane è diventato impossibile. Oltre le dinamiche recenti del mercato immobiliare, le cause della nuova questione abitativa sono radicate nei processi di trasformazione economica e sociale degli ultimi quarant’anni. Parte del problema è la strategia adottata come soluzione fino a oggi: il sostegno della proprietà privata. Con un divario tra salari e costi abitativi cresciuto esponenzialmente anche per via dell’aumento del peso della rendita immobiliare nell’economia e della finanziarizzazione di tutto, questa strategia sta mostrando i suoi limiti.
In un paese che ha appena destinato 170 miliardi di euro in agevolazioni per valorizzare il patrimonio edilizio privato creando ulteriore debito pubblico - scrive la Gainsorth sul suo profilo Instagram -, il problema non sono i soldi: è la volontà politica.
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