Tu chiamale coincidenze...
... io la chiamo vita. Di Achille Mauri, Amazzonia e acqua "chiacchierina"
Aprile è andato e maggio pure. E allora Giovanna al telefono mi ha chiesto: «E Spazio Amato? Quando arriva?». Tanti spostamenti e un blocco nella scrittura. Poi un paio di giorni fa mi è venuta in mente un’intervista che avevo fatto anni fa e sono andata a rileggermela.
Quella ad Achille Mauri, tra le tante cose anche fondatore della casa editrice Mauri Spagnol e uomo di profondità rara, rimane una delle interviste più belle che io abbia fatto. Eravamo in lockdown e ci chiedevamo che contenuti pubblicare su un giornale di viaggi, quando non si poteva nemmeno andare dall’altra parte della città. Allora la mia responsabile aveva pensato di chiedere a delle persone, che avessero fatto del viaggio una parte importante della loro vita, di farci raccontare “il mondo che ci manca”.
Avevo sentito parlare Mauri circa un anno prima a Venezia a un convegno di librai. Mi ero appuntata le sue parole: «Qui a Venezia imparerete che siete fatti d'acqua e l'acqua è sensibile. Imparerete che la parola è sollievo, è curativa, è dolcezza e i libri sono pieni di parole e quindi servono anche a questo: a curare».
Un anno dopo ero a Venezia, a farmi curare dall’acqua, e chiamai Mauri per farmi raccontare il mondo che gli mancava. Mi disse che mi avrebbe parlato di magia nera e del Regno di Dahomey. Di come fosse partito, invitato dal re di quel Paese, perché gli venisse svelato il mondo invisibile. E di come un viaggio di 22 giorni finì per durare due anni, convincendolo a portare la sua famiglia a vivere insieme a lui con quella comunità. Come “vittima” di un incantesimo, non riuscì a ripartire.
Mi raccontò di iniziazioni, di incontri avvenuti o no con lo gnomo, di spiriti voodoo, di medicina, di salute mentale. Mi parlò di magia e io che da sempre cercavo di entrare in quel mondo, quello magico, ma ne ero ancora lontana, volevo che la nostra telefonata non finisse mai.
Ora so di vivere nella realtà magica, perché ho capito cosa voglia dire: avere una sconfinata fiducia nella vita. Sapere che qualsiasi cosa accada, c’è qualcuno che ti vuole aiutare, che se ti rivolgi ai tuoi maestri, quelli si manifestano, che la vita non sbaglia e che l’unica cosa che conta è la verità.
Mauri mi raccontò che i suoi amici africani - «i nostri parenti di buon umore» - gli dissero che era arrivato il momento che l’Europa conoscesse i segreti della foresta, dell'acqua, del fuoco».
«L’acqua è chiacchierina, il fuoco dice la verità»
Quando sentii quelle cose, prendendo appunti, rimasi affascinata, ma non compresi fino in fondo. Rileggendo ieri quell’intervista tutto ha preso un altro significato.
L’acqua è chiacchierina. Prova a metterti seduto sulla riva di un fiume e ascolta. Il fuoco dice la verità. Affidagli un dubbio. Questa è la magia. Avere fede e sapere di essere ascoltati.
Dove in tanti vedono coincidenze, io vedo la vita farmi l’occhiolino
ho detto qualche giorno fa a una persona stupita da un susseguirsi di «cose assurde».
L’intervista ad Achille Mauri la trovate qui.
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Sono appena rientrata da un meraviglioso viaggio nell’Amazzonia brasiliana, di cui scriverò. Una mia amica che ci era stata, mi aveva avvisata: «ci sono dei posti incredibili nel mondo e l’Amazzonia è uno di quelli».
Quanta commozione a ripensare alla prima navigazione, davanti alla foresta allagata. Mi ero documentata, avevo letto e guardato fotografie e documentari, ma il virtuale nulla può contro la realtà. Eravamo, io e i miei compagni di viaggio, seduti con lo sguardo rivolto verso le chiome degli alberi sommerse dall’acqua del Rio Negro (che km dopo confluisce nel Rio Solimões per dare finalmente vita al Rio delle Amazzoni). Chiacchieravamo e lentamente si è creato il silenzio. Tutti rapiti, tutti incantati. Sarei rimasta così, su quella sedia nemmeno troppo comoda, ore e ore a guardare gli alberi scorrere davanti ai miei occhi.
Siamo frammenti di un’immensità. Siamo parte di un mondo grande, complesso, antico e saggio
Avrei voluto rimanere di più. Avrei voluto addentrarmi in quella fitta foresta, incontrare gli spiriti che la abitano, affidarmi a lei, chiedere consigli, ascoltarla. Se l’acqua è chiacchierina e il fuoco dice la verità, nella foresta ti accorgi di non essere mai solo, mai. Ci sono tanti altri abitanti e ci sono gli alberi che rispondono con presenza, con spazio, con odori. Sei vivo in mezzo a vita. E cosa c’è di più rassicurante per le nostre fragilità?
In Amazzonia la foresta si lascia penetrare dall’acqua del fiume che fluisce in un ciclo ininterrotto, andando sempre in avanti. Il fiume trasporta organismi, sostanze e le dona a ciò che incontra, così come facciamo noi nella nostra vita: ogni incontro è un’occasione per donare qualcosa; sempre quando incontriamo l’altro lasciamo qualcosa di noi. Quindi sarebbe bene muoversi sempre con delicatezza e grazia.
Foresta e fiume sono simboli di un’incessante alternanza tra forza e resa, tra grazia e potenza, tra dare e ricevere, tra nutrimento e rigenerazione. Tra vita e morte. Dove morte non è altro che generazione di nuova vita. Dove il fiume sembra morire, lì sprigiona l’energia necessaria perché un nuovo ciclo inizi. Non c’è mai fine.
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Su Vanity Fair ho pubblicato un’intervista all’antropologo Adriano Favole - autore, tra gli altri, de La via selvatica, un libro che tutti, ma proprio tutti oggi dovrebbero leggere. Mi ha raccontato di come la nozione di popolo sia recente, che nella storia gli uomini non conoscevano il significato di straniero, semmai di nemico, quello sì. La potete leggere qui, io trovo sempre bellissime le sue parole. Il filosofo Diego Fusaro, invece, l’ha trovata un’ottima scusa per fare polemica, iniziando il suo articolo così: «Vanity Fair, la Bibbia della coolness postmoderna del turbocapitalismo liquido no border, pubblica in questi giorni un curioso articolo, in cui commenta con entusiasmo le recenti dichiarazioni dell'antropologo sabaudo Adriano Favole». La coolness postmoderna del turbocapitalismo liquido no border.
A proposito di grazia e delicatezza.
sempre una gioia leggerti.